Alla mia maestra Maria e a tutte le maestre del mondo.
A volte ci si trova in situazioni che ti fanno riflettere e che ti riportano con la mente ad un passato ormai lontano che, comunque, ti è rimasto impresso nella mente. E' l'immagine di me bambina disperata, perché venivo allontanata dalla mia maestra, trasferita in altra sede.
Ero piccola, ma con un dolore grande. Mi sentivo tradita dalla "scuola" che mi toglieva una persona che amavo.
Forse, quella fu la mia prima, vera sofferenza.
Giorni fa, entrando nell'aula della V A della scuola elementare Aldisio, ho assistito ad una scena tenerissima: la maestra Rosalba e la piccola Francesca, abbracciate, piangevano per il distacco a cui andavano incontro.
E così ho rivissuto quel lontanissimo dolore di quando ero bambina. La mia maestra di allora, Maria Donato Soluri, non c'è più, ma finché è vissuta, non ci siamo mai realmente allontanate. Le nostre telefonate erano frequenti. Lei gioiva per le mie gioie e seguiva la mia vita, di cui sapeva ogni minimo particolare, visto che era l'unica mia confidente.
Ho sempre avuto lei come simbolo dell'insegnante: una donna semplice, autorevole, ma capace di dare tanto amore e cultura. Un esempio da seguire. Ma in una città, come la nostra, dove la presunzione è un "pregio" per creare un intellettuale da rispettare, la mia cara maestra Maria era una luce che difficilmente si poteva superare in luminosità. Splendeva di una luce propria, fatta di modestia, luce difficile da ritrovare in un mondo come il nostro, dove la sentenza su tutti e tutto è d'obbligo. Ognuno è divenuto giudice di ogni situazione e di ogni azione. Basta seguire per cinque minuti i NETWORK per comprendere con quanta facilità ognuno trovi uno spazio per dare giudizi, per condannare o salvare.
Per fortuna, poi, entri in un'aula e ti commuovi per un abbraccio, mentre torni bambina per assaporare un legame che vive nonostante il tempo e la morte che dividono inesorabilmente.
W le maestre che si commuovono, sono più umane e vere ed anche difficili da dimenticare.
Ero piccola, ma con un dolore grande. Mi sentivo tradita dalla "scuola" che mi toglieva una persona che amavo.
Forse, quella fu la mia prima, vera sofferenza.
Giorni fa, entrando nell'aula della V A della scuola elementare Aldisio, ho assistito ad una scena tenerissima: la maestra Rosalba e la piccola Francesca, abbracciate, piangevano per il distacco a cui andavano incontro.
E così ho rivissuto quel lontanissimo dolore di quando ero bambina. La mia maestra di allora, Maria Donato Soluri, non c'è più, ma finché è vissuta, non ci siamo mai realmente allontanate. Le nostre telefonate erano frequenti. Lei gioiva per le mie gioie e seguiva la mia vita, di cui sapeva ogni minimo particolare, visto che era l'unica mia confidente.
Ho sempre avuto lei come simbolo dell'insegnante: una donna semplice, autorevole, ma capace di dare tanto amore e cultura. Un esempio da seguire. Ma in una città, come la nostra, dove la presunzione è un "pregio" per creare un intellettuale da rispettare, la mia cara maestra Maria era una luce che difficilmente si poteva superare in luminosità. Splendeva di una luce propria, fatta di modestia, luce difficile da ritrovare in un mondo come il nostro, dove la sentenza su tutti e tutto è d'obbligo. Ognuno è divenuto giudice di ogni situazione e di ogni azione. Basta seguire per cinque minuti i NETWORK per comprendere con quanta facilità ognuno trovi uno spazio per dare giudizi, per condannare o salvare.
Per fortuna, poi, entri in un'aula e ti commuovi per un abbraccio, mentre torni bambina per assaporare un legame che vive nonostante il tempo e la morte che dividono inesorabilmente.
W le maestre che si commuovono, sono più umane e vere ed anche difficili da dimenticare.
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