Donne che se la cantano.

14 febbraio. Si è svolto nella sala consiliare di Palazzo De Nobili, un seminario molto interessante sull'antropologia, fortemente voluto dall'assessore alla Istruzione, Stefania Lo Giudice e dal suo staff, Graziella Bianchi e Gisella Rossi.
Il titolo del seminario è alquanto affascinante e, direi, suadente nella sua originalità, "Di donna in donna: tra arte follia e creatività. Donne che se la cantano". E, per dire il vero l'incontro è stato un susseguirsi di donne che tra l'Assessore, la relatrice, le signore del pubblico e le allieve degli Istituti superiori sembrava una riunione tra donne e per le donne.
A dar manforte al mondo femminile il moderatore, Massimo Brescia  ed il Presidente della Commissione Cultura, il consigliere comunale, Agostino Caroleo, che sono intervenuti alle discussioni con competenza, destrezza e simpatia, rendendo l'argomento importante e di un certo spessore, semplice e piacevole.
L'assessore Lo Giudice, dopo aver portato i saluti del Sindaco, ha auspicato che ci sia un parallelismo tra le varie culture del mondo, diverse, ma anche uniche e speciali nel loro genere.
Relatrice validissima la professoressa Michela Zucca, antropologa di valore, specializzata in cultura popolare non solo della nostra penisola, ma anche dell'America del sud e dell'Australia, dove ha approfondito gli studi sugli sciamani amazzonici.
La Zucca ha iniziato la sua relazione, ribadendo quanto sia difficile che la cultura si esprima. E questo per noi Catanzaresi non è una novità, vista quanta poca importanza, anche a livello istituzionale, si dia alla cultura, verso la quale si spende meno che per i  mercatini rionali. A dimostrarlo è stata l'assenza totale dei politici all'interessante convegno.
"Cantare, contare ed incantare hanno la stessa radice e narrare è la prima forma d'incanto", sostiene l'antropologa, infatti nella Bibbia c'è scritto IN PRINCIPIO ERA IL VERBO e l'intero universo è una sintonia di note, di ottave".
Dopo aver tratteggiato con maestria le divinità femminili, i miti, le Sirene, Scilli e Cariddi, le Muse, i Pitagorici, unici filosofi che accettavano le donne, le religioni antiche fino al Cristianesimo e al  Concilio di Trento, la Zucca descrive i canti sacri e celestiali, per arrivare a quelli delle tribù dell'America latina e dell'Australia, degli Sciamani e degli Indios.
Tra i canti dei popoli lontani, abbiamo anche piacevolmente ascoltato un canto calabro intonato dall'amica Francesca Salerno, che ci ha fatto ascoltare  Riturnella.
Giornata bella, intensa, altamente culturale. E lo afferma chi ha studiato Antropologia per quattro anni con il professor Luigi Lombardi Satriani che, seguendo l'esempio dello zio,  ha creato le basi nel Meridione per l'Antropologia italiana. Quando discussi la mia tesi sulla donna nel sud, cominciai con un canto,  Tata mi moru, in cui una giovane canta di voler morire perché il padre le vieta di incontrare il suo innamorato. La mia relazione terminava con un altro canto "Fior di cucuzza a fimmina a 15 anni è mezza pazza, dopo i 15 anni è pazza tutta. Fior di limone cu la farina ci si fa lu pana e cu la fimmina ci si fa l'amuri". Questi canti erano indicativi per esprimere la condizione subalterna della donna a quella dell'uomo. Dai miei tempi dell'università, tanto tempo è passato. Le donne sono cambiate e con loro tutta la società. Una sola cosa rimane immutabile: l'immagine desolata della Calabria come terra forte ed irriducibile. Certo la desolazione la subiamo anche noi Calabresi ed ha origini antiche e politiche, di amministrazioni sbagliate e di tanti interessi privati. Ma la forza?
La nostra terra la manifesta attraverso le donne calabresi, che, nonostante il cambiare del tempo, rimangono immutabili nel loro sentire popolare con sentimenti, emotività e valori. Anche i tratti antropologici come il rispetto per i vecchi, la protezione verso i bambini, il valore della famiglia hanno una loro storicità, pur nella mobilità e nel cambiamento. Le Calabresi hanno combattuto e combattono paura, pudore e violenza. Anche a costo della vita. Sono le donne della mia terra a sfidare l'ingiustizia, ma soprattutto la società che tace.
Siamo noi donne calabresi  il nocciolo duro della società, siamo le Vestali delle regole coi figli, perpetuando il sentire popolare che ci hanno lasciato i vecchi.
E da donna catanzarese mi auguro che la mia città, capoluogo di regione, diventi il centro degli studi antropologici d'Italia, anche alla luce di quanto ha espresso il grande antropologo spagnolo, Ponga, che  ci ha dato questo primato, quando partecipò ai precedenti incontri tenuti a Catanzaro su questa tematica.
Con lo sforzo dei loro Consiglieri comunali, che hanno espresso al meglio le loro competenze e l'amore verso loro città,  Mantova è diventata la capitale della Filosofia, Roma della letteratura, Torino del libro.
Riusciranno i nostri amministratori a dare a Catanzaro lo scettro di capitale dell'Antropologia? Avranno le stesse capacità dei colleghi delle altre città italiane? Ma soprattutto avranno lo stesso amore per il nostro capoluogo?


















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