L'Italia ha due grandi "industrie" redditizie: la mafia e l'antimafia

Scrivo quest'articolo da fiera calabrese, che vuole ricordare a tutti che Locri ha dato i natali a filosofi, come Timeo e al più antico legislatore della Magna Grecia e della stessa Grecia, Zaleuco e sue furono le prime leggi scritte in Occidente, tra l'altro molto severe.
Locri, quindi,  non aspettava certo don Ciotti per sentir parlare di legalità, già usa nella città calabra fin dal 663 a.C., nell'epoca in cui a Pieve di Cadore c'era ancora l'uomo di Neanderthal. 
 Le vicende legate a Locri e alla vicenda Libera, mi hanno sconcertato, perché nessun locrese, né malavitoso, né onesto si sarebbe mai messo in evidenza con tutte le forze dell'ordine che c'erano in giro, per l'imminente venuta del presidente Mattarella. Quindi, lasciatemi il beneficio del dubbio proprio per il fatto che conosco bene i miei conterranei. Da più giorni, però, nelle varie televisioni  e sui giornali si continua a parlare di Libera e della mafia locrese, o meglio, calabrese. 
Forse era giunto il momento di passare per vittime, come si fa da qualche tempo in Italia per acquisire un nuovo aspetto? Magari più rinnovato, più interessante, più tutto (e chi vuol capire, capisca).
Libera non è la Procura Antimafia, ma un'associazione, guidata da don Ciotti, che, pur avendo l'appoggio della Commissione antimafia, soprattutto della Rosi Bindi,  non può, comunque, essere considerata più importante della stessa Procura, ove alcuni magistrati rischiano veramente la loro vita e quella dei congiunti per il loro operato, senza essere sotto i riflettori.
 E non mi venite a dire che appartenendo don Ciotti alla Chiesa, è una garanzia, perché noi Calabresi , discendenti di Pitagora, sappiamo che i Sacerdoti di ogni religione e di ogni tempo, hanno più preso che dato.
 Infatti, non dà alcuna tranquillità leggere la lettera di don Ciotti scritta a Filippo Lazzaro, per chiedergli scusa, dopo averlo picchiato con violenza. Filippo, prima di conoscere don Ciotti, lavorava in Sicilia in un supermercato ed era a contratto indeterminato. Quando conobbe il presidente di Libera, si convinse a denunciare i suoi datori di lavoro, perché collusi con grandi famiglie mafiose del luogo. 
Il ragazzo denunciò e si trasferì in Piemonte, dove don Ciotti gli aveva promesso un lavoro sicuro che gli avrebbe cambiato l'esistenza.
Trasferitosi, cominciò a lavorare, ma in nero. Col tempo, dopo ripetuti tentativi falliti, finalmente riuscì ad incontrare don Ciotti per chiedergli un regolare contratto di lavoro. Fu in quest'occasione che il prete lo prese a calci e a pugni, finché la stessa scorta del religioso allontanarono il giovane, basito per la violenza con cui era stato trattato e finito  al pronto soccorso con una prognosi di 10 giorni.

Clamorosa è pure la cacciata di La Torre da parte del presidente di Libera, per aver sollevato giustamente che un'associazione che s'interessa di mafia, lo deve fare a 360 gradi e non solo riferendosi alla Calabria e alla Sicilia. Né si può tralasciare Roma capitale né quei brutti capitoli, di cui uno della magistratura con la giudice Silvana Saguto, indagata per la gestione dei beni confiscati (anche a chi magioso non era) e l'altro della Cofindustria Sicilia, il cui presidente è finito sotto inchiesta per rapporti con Cosa Nostra.
Certamente sarebbe più giusto definirla "Cosa Loro", ovvero cosa che appartiene più alla burocrazia e ad altro che a Noi-popolo che viviamo di dignità,  lavoro e stenti e che non riusciamo a  capire perché dopo 50 anni dalla nascita del Gruppo Abele,  20 di Libera, 55 anni dalla istituzione della Commissione antimafia, il malaffare sia aumentato a dismisura. L'unico certezza è il mare di soldi che finiscono in tasca dei tanti salvatori della legalità, che è un termine che ti raggela, perché ha sostituito quella parola calda e rassicurante a cui la mia generazione era stata educata: GIUSTIZIA

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